Greenwashing e... 7 peccati capitali
Green Tech Insight #9 - Cos'hanno a che fare i 7 peccati capitali con il greenwashing? Parliamo di greenwashing e della nuova direttiva sui green claim
Benvenuti e benvenute!
In queste settimane di direttive europee e sostenibilità, avrai forse sentito la notizia dell'approvazione (dopo una prima bocciatura) della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), la Direttiva che impone alle aziende di identificare, prevenire (o almeno mitigare), e porre fine agli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente lungo tutta la catena del valore.
E visto che siamo in tema di direttive e sostenibilità, in questo numero di Green Tech Insight affronteremo un tema caro a tutte le aziende e consumatori: come comunicare la sostenibilità.
Settimana scorsa ho avuto il piacere di tenere con Up2You, assieme alla mia collega Silvia, un webinar sul prestigioso network Sustainability Makers: abbiamo parlato di comunicazione, degli errori da evitare, e anche dei nuovi sviluppi normativi. Una mattinata davvero stimolante!
Ho pensato di dedicare questa edizione proprio al mondo dei "green claims" all'interno dell'UE, esplorando come la Direttiva UE 2024/825 regoli le dichiarazioni sulla sostenibilità ambientale di prodotti e imprese, con lo scopo di contrastare il delicato tema del greenwashing (e dei suoi 7 peccati!).
Le parole contano, e anche le etichette!
Prima di entrare nel cuore della tematica di questa edizione, penso sia utile avere alcune definizioni, per capire bene di che cosa stiamo parlando.
I green claims sono dichiarazioni relative a performance o caratteristiche socio-ambientali, riportate tramite pubblicità, canali di comunicazione aziendali, etichette o imballaggi. Possono riferirsi a vari aspetti, come l'efficienza energetica, l'utilizzo di materiali riciclati, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica o l'assenza di sostanze chimiche nocive.
Le dichiarazioni ambientali sono state pensate per offrire una valutazione riscontrabile, rapida e intuitiva sull’impatto ambientale di un prodotto o servizio, consentendo di prendere decisioni sulla base di informazioni certe.
I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità e sono interessati ad acquistare beni che hanno un ridotto impatto ambientale, mentre le imprese sono chiaramente interessate ad accaparrarsi questa fetta (sempre più corposa) di mercato.
Avrai forse notato che negli ultimi anni sono aumentate le dichiarazioni con cui le aziende comunicano il loro impegno nel miglioramento delle proprie performance di sostenibilità, anche rispetto alla loro offerta commerciale.
Ti sarà capitato, facendo la spesa o curiosando online, di incappare in varie etichette, bollini e badge sulla sostenibilità di prodotti e servizi. Purtroppo, queste affermazioni alle volte sono solo degli slogan vuoti, senza un vero fondamento, pensati ad arte per condizionare le scelte del consumatore ignaro. Anche questo rientra nel dannoso fenomeno del greenwashing! Vediamolo più nel dettaglio.
Il Greenwashing: come riconoscerlo
Greenwashing è un neologismo che deriva dall'unione di due parole inglesi: “whitewashing”, cioè lavare, imbiancare (ma anche mascherare) e “green”, verde, colore associato alla natura. Indica quindi l’atteggiamento di chi si dà una facciata di sostenibilità che in realtà non corrisponde al vero.
Come forse sai, si parla di greenwashing quando un'azienda fa dichiarazioni infondate o esagerate, per far credere ai propri stakeholder che i prodotti o i servizi offerti abbiano un impatto ambientale minore rispetto alla realtà. Il greenwashing è quindi una strategia di marketing ingannevole.
Quello che forse non sai è che un rapporto del TerraChoice Environmental Marketing Inc. ha individuato 7 categorie di greenwashing: 7 come i peccati capitali.
Lo scopo del report è informare gli stakeholder, in particolare i consumatori, sulle varie strategie con cui le aziende si rendono belle ai loro occhi. Vediamole insieme con degli esempi pratici per capire bene di cosa si tratta.
Avarizia (di informazioni): il peccato di omessa informazione (hidden trade-off) si verifica quando viene riportato solo un numero limitato di aspetti legati all’impatto ambientale di un bene, tacendo arbitrariamente sugli altri. In altre parole, si tratta di non segnalare tutte le esternalità negative legate a un bene.
Come puoi immaginare, questo è il peccato più diffuso e insidioso. In pratica, l'azienda non fornisce informazioni false, ma omette aspetti cruciali che impediscono di avere una visione completa sull'impatto ambientale di un bene. Di conseguenza, i consumatori sono portati a credere che il prodotto o il servizio sia migliore di quanto effettivamente sia.
Immagina di leggere su un pacco di biscotti "sacchetto 100% di carta riciclata”. A prima vista, sembra un'opzione “sostenibile”; tuttavia, questa dichiarazione non fornisce alcuna informazione sull'impatto ambientale dell'intero processo di produzione. Non viene detto nulla, per esempio, sull’impiego di energia e di acqua, o sull’impronta carbonica del prodotto.
E sarebbe ancora più grave se quei biscotti fossero fabbricati con le peggiori pratiche industriali e con un impatto ambientale e sociale drammatici, ma il consumatore finale li scegliesse, pensando che abbiano buone performance di sostenibilità per via di quel “100% carta riciclata”. Io mi sentirei truffato!
Avarizia, Jacobb de Backer
Superbia: il peccato di mancanza di prove (no proof) è forse il più semplice da individuare, e sicuramente uno dei più diffusi. Siamo davanti a dichiarazioni ambientali che rimangono sospese nel vuoto, senza essere supportate da certificazioni o da dati accessibili e verificabili. La prossima volta che vedi un'etichetta che riporta un dato ambientale positivo chiediti: "Dove sono le prove?".
Superbia, Jacob de Backer
Accidia: un altro peccato particolarmente diffuso è quello di vaghezza (vagueness). Lo si trova ogni volta che ci si imbatte in una dichiarazione poco chiara, o così ampia che il suo reale significato rischia di essere frainteso dal consumatore.
È come quando leggi sull'etichetta di un prodotto che è "completamente naturale" e pensi che sia la scelta più salutare e a favore dell’ambiente, solo per scoprire che anche l'arsenico e l'uranio rientrano nella categoria "naturale", ma non esattamente nella lista delle tue bevande preferite.
Accidia, Jacob de Backer
Gola (di informazioni): quando cerchi prodotti con buone prestazioni in termini di sostenibilità, ti aspetti di trovare informazioni rilevanti per fare una scelta consapevole, giusto? E invece puoi imbatterti nel peccato di irrilevanza (irrelevance): dichiarazioni con informazioni vere, ma totalmente irrilevanti.
È come quando vedi scritto "senza CFC" su un flacone spray e pensi sia un aspetto positivo, ma poi scopri che i CFC (Clorofluorocarburi) sono già fuori legge da un bel po'. Quindi sì, le informazioni sono corrette, ma in realtà non ti aiutano a scegliere il prodotto con una maggiore attenzione verso l’ambiente.
Gola, Jacob de Backer
Lussuria: è possibile che nel carrello di una tua spesa siano finiti anche prodotti con delle etichette verdi o degli slogan che ne decantano la sostenibilità ambientale. Mi spiace dirti che alcune sono false.
Questo è il peccato di adorare false etichette (worshiping false labels). Si tratta della creazione e utilizzo di certificazioni o etichette fasulle progettate per trarre in inganno i consumatori. Questi bollini, o dichiarazioni ingannevoli, mirano a far credere ai consumatori che l’impatto ambientale di un prodotto o servizio sia stato verificato e certificato da un ente terzo indipendente. Controlla l’affidabilità e l’origine delle etichette che trovi, e scegli solo quelle riconosciute, come EU Ecolabel.
Nella lussuria, fa' attenzione, Jan Steen
Invidia: il peccato del minore dei due mali (lesser of two evils) riguarda le dichiarazioni che forniscono delle informazioni vere rispetto al tipo di bene, ma che rischiano di distrarre il consumatore dai maggiori impatti ambientali. In questo caso, viene messo il focus sul male minore che, però, sempre male è.
Invidia, Giotto
Ira (che fa venire al consumatore quando lo scopre): meno diffuso tra tutti è il peccato del mentire (fibbing), che consiste nel fare delle dichiarazioni ambientali semplicemente false. Questo tipo di affermazioni sono perseguibili per legge.
Gran giorno di sua Ira, John Martin
Questi peccati ci svelano quanto sia importante contrastare il greenwashing: inganna consumatori e aziende, portandoli potenzialmente a sostenere pratiche dannose per l’ambiente.
Questo fenomeno può anche erodere la fiducia generale nei green claims, rendendo più difficile distinguere le aziende veramente sostenibili da quelle che non lo sono.
Inoltre, è una pratica di concorrenza sleale: le imprese impegnate seriamente nell’affrontare la sostenibilità rischiano di trovarsi in svantaggio rispetto a quelle che, abusando di pratiche ingannevoli, cercano di ottenere un miglior posizionamento senza agire concretamente e senza ottenere risultati tangibili.
Direttiva UE 2024/825: una nuova frontiera per la trasparenza
Nel 2020 è stato calcolato che circa il 53% delle dichiarazioni ambientali nel mercato dell’Unione erano vaghe, fuorvianti o non fondate, e che circa un’etichetta su due era ingannevole. Con questi dati alla mano, l’UE ha deciso che era il momento di intervenire e arginare il pericoloso fenomeno dell’ambientalismo di facciata.
Fonte: Commissione Europea
Che la si voglia chiamare “Direttiva Green Claims" o “Direttiva Greenwashing”, una cosa è chiara: l'UE ha stabilito delle regole che le aziende devono rispettare quando fanno delle affermazioni sulla sostenibilità dei propri prodotti o servizi nel mercato dell’Unione.
L'obiettivo è quello di garantire che queste dichiarazioni siano verificabili, trasparenti e non fuorvianti. In questo modo, l’UE mira ad assicurare una maggiore consapevolezza dei consumatori e a promuovere una transizione verde responsabile. Si tratta di un provvedimento di consumer empowerment, che si inserisce nel quadro più ampio del Green Deal Europeo.
Per raggiungere questo obiettivo, la Direttiva opera su due binari paralleli.
Per prima cosa, stabilisce i requisiti minimi e comuni per la comunicazione attraverso autodichiarazioni ambientali. Per garantire la credibilità, queste dichiarazioni devono essere verificate da un soggetto terzo e indipendente, basandosi su prove scientifiche riconosciute. Sarà essenziale dimostrare la rilevanza degli impatti, considerando tutti gli aspetti significativi del ciclo di vita del prodotto.
Le unità di riferimento devono essere definite chiaramente, indicando se la dichiarazione parla dell'intero prodotto o solo di parti. Tutte le informazioni incluse devono provenire da fonti attendibili, assicurando trasparenza e affidabilità. Inoltre, sarà importante dichiarare se il miglioramento in un'area (es. riduzione del consumo di acqua) comporta un peggioramento significativo in un'altra (es. aumento delle emissioni).
Alcuni di questi requisiti ti saranno forse familiari, perché vanno a toccare proprio i peccati del greenwashing che abbiamo visto poco fa.
La Direttiva non si ferma qui: stabilisce, infatti, che i consumatori possano accedere facilmente alle informazioni sulle indicazioni ambientali e alle relative prove. Queste informazioni devono essere chiare e comprensibili, e devono includere dettagli su prodotto, prestazioni ambientali e processo di verifica.
Le informazioni devono essere aggiornate almeno ogni 5 anni e includere istruzioni su come utilizzare il prodotto per minimizzarne l’impatto. Deve essere previsto, per esempio, l’inserimento di un link web o un codice QR per accedere a informazioni più dettagliate online.
L’UE ha anche ampliato l’elenco delle pratiche commerciali considerate sleali. Queste includono:
presentare dichiarazioni ambientali non supportate da impegni chiari e verificabili;
pubblicizzare come vantaggi per i consumatori aspetti che rappresentano una pratica comune nel mercato.
Per combattere le etichette false, si potranno usare solo marchi di sostenibilità basati su un sistema di certificazione ufficiale o stabilito dalle autorità pubbliche (es. EU Ecolabel).
Saranno proibite anche dichiarazioni generiche ed espressioni come "rispettoso dell'ambiente" o "sostenibile", se non supportate da prove concrete di prestazioni ambientali eccellenti.
A questo punto ti chiederai: da quando è obbligatoria questa Direttiva?
La Direttiva è stata già approvata dall’UE e gli Stati Membri hanno tempo fino al 27 marzo 2026 per adottare le misure necessarie per conformarsi agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla Direttiva, integrandoli nelle loro normative interne. La Direttiva sarà quindi vincolante dal 27 settembre 2026.
Troppo poco per adeguarsi?
Troppo in avanti nel tempo?
Io vedo già ora le prime “virate” violente da parte di aziende che si lasciavano trasportare commettendo qualche peccato di greenwashing di troppo. Se da un lato è vero che dovremo aspettare il 2026 per avere in attività un sistema di obblighi e sanzioni, mi aspetto che molto prima il mercato si allinei a queste nuove pratiche commerciali.
Consigli di lettura:
Vuoi approfondire maggiormente la Direttiva Green Claims e come effettuare una comunicazione corretta in materia di sostenibilità? Leggi il white paper di Up2You su Dichiarazioni ambientali e green claim.
In questo articolo sono analizzate le principali direttive europee sulla sostenibilità.
Se ti rimangono dei dubbi sui green claims, l’UE ha pensato anche a questo: ha preparato un documento in cui potresti trovare le risposte che stai cercando.
Nel primo numero di Green Tech Insight ho invece affrontato i diversi obblighi in materia di sostenibilità in arrivo per le aziende.